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Ci racconti la storia del suo pastificio, quando e come è nato?
La famiglia Cavalieri produceva grano già dopo l’unità d’Italia, poi il paese venne invaso dal grano tenero che costava molto meno e questo provocò una grossa crisi, il mio bisnonno capì che le cose dovevano cambiare e partì dunque per il nord per introdurre lì il grano duro che costava meno e i suoi sistemi di lavorazione, mio nonno poi, dopo la laurea, chiese al padre una piccola somma per stare un mese o due all’estero, e in pochi anni, quando tornò, costruì il mulino e il pastificio. Era una persona di poche parole e ai suoi 83 dipendenti disse solo che visto che avevano i migliori impianti e il miglior grano dovevano anche fare la migliore pasta. Questa pasta rappresenta il prestigio mio, della mia famiglia e della nostra terra, ogni confezione deve raccontare lo sforzo e la passione che noi mettiamo a farla, non abbiamo mai fatto pubblicità, basta il passaparola, è la qualità della nostra pasta che ha sempre pagato. Visto che, essendo piccoli, non potevamo competere con i grandi produttori, abbiamo puntato sul massimo della qualità. Il nostro è un prodotto straordinario con un’unicità riconosciuta, noi abbiamo solo fatto in modo che la gente si innamorasse della nostra pasta.
Lei ha cominciato a lavorare nel pastificio per passione o per necessità?
La casa di mio nonno era a Maglie, dove avevamo e continuiamo ad avere il pastificio, il nonno era un grande patriarca, tutta la famiglia si riuniva a casa sua. Io ho iniziato a lavorare nel pastificio per sfida verso mio padre che diceva che non ero adatto all’attività imprenditoriale, è iniziata così, per amor proprio!
Ci parli del “metodo delicato” con cui lavora la sua pasta
La partenza è sempre la materia prima ma questa si può maltrattare o esaltare, nei casi delle grandi produzioni si richiede una iperproduzione e questo fa sì che la semola venga stressata perdendo nel processo molte delle sue qualità. Bisogna invece sforzarsi di conservare le proprietà, mangiandola si deve avvertire una qualità tenace. Bisogna salvaguardare le proprietà in tutte le fasi di lavorazione, noi ad esempio essicchiamo a temperatura molto basse, circa 38 gradi, il che richiede tempi più lunghi ma ne vale la pena.
Lei in un articolo apparso su La Repubblica ha detto di essere stato sedotto da un bucatino, ci racconti di questo suo innamoramento
Quando ero all’Università un mio amico mi chiese come si faceva a fare il buco dei bucatini, io non lo sapevo e allora mi precipitai a informarmi, quello per me fu quasi un affronto, mi sentivo umiliato dalla mia ignoranza!
Qual è il suo rapporto e il suo legame con la Puglia?
Io sono molto orgoglioso di essere salentino, ma il mio orgoglio non ha nulla a che fare con il campanilismo, è un orgoglio che viene dalla nostra terra e dalle nostre tradizioni, dalla capacità di innovarle e trasformarle senza però dimenticarle o cancellarle.
Lei ha studiato Legge e voleva fare il giornalista, perché ha cambiato idea?
E’ il mio sogno nel cassetto, nella prossima vita farò il giornalista. In questa ho fatto pasta di qualità e mi sono innamorato di questo lavoro, benchè non sia mai stato molto incoraggiato nello svolgerlo, mio padre non mi ha mai lodato però un anno dopo la sua morte lo ho sognato e in sogno finalmente mi ha detto “Bravo! Stai facendo un grande lavoro”. E’ bastato questo, mi sono svegliato felice.
La sua pasta ha un grande successo anche all’estero, è stata addirittura adottata da Ferran Adrià, ci racconti come e quando è iniziata questa sua collaborazione e quella con altri chef famosi.
La collaborazione con Ferran è merito di mio figlio Andrea con il quale è nato un bel rapporto. Ferran nelle sue sperimentazioni faceva gli spaghettoni con la farina di banana e poi ha chiesto la pasta Cavalieri perché stava elaborando una nuova ricetta, voleva macinare la pasta per provare una delle sue avventurose ricette. Poi c’è stato Massimiliano Alajmo che nel 2011 in occasione di un evento all’ hotel Principe di Savoia a Milano con degli chef giapponesi, presentò me e la mia pasta a loro e a tutti i fornitori, circa 250 persone. Ricordo che gli dissi “Massimiliano o mi prendi in braccio oppure devi rivolgerti a mio figlio Andrea” , lui infatti è altissimo e io con lui sparivo! Ajmo e Nadia invece con la nostra pasta hanno inventato gli spaghettoni al cipollotto. Infine i Trois Gros in Francia ci hanno spalancato le porte, un giorno mi arriva una mail in inglese che chiedeva i nostri listini, noi pensavamo ad uno scherzo, invece loro ci hanno telefonato per dirci che volevano introdurre ricette italiane nei loro menu perché non solo le chiedevano i clienti internazionali ma addirittura i francesi! E volevano una pasta di qualità. Ecco cose così ci danno sicurezza.
Lei ha affermato: “Per essere grandi bisogna restare piccoli. E non fare i furbi”. Ce lo può spiegare?
Sono sicuro che per noi Italiani, per ciò che facciamo, per i nostri prodotti, per ciò che gli stranieri ci credono in grado di fare e ci richiedono di fare, ci sarebbe da lavorare per tutti e per secoli, senza fare i furbi, invece i furbi sono tanti e il danno fatto da loro è enorme, c’è troppa gente che cerca scorciatoie, che risparmia su tutto. Noi ci teniamo alla nostra differenza, è una vocazione di famiglia, siamo calvinisti, il nostro motto è avere misura e non tirarsela.
Ci racconti la sua esperienza di collaborazione con Slow Food e con l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, cosa comporta e quando e come è iniziata?
E’ stata una collaborazione fondamentale fin dall’inizio, da subito si è instaurato un grande rapporto di fiducia reciproca con Carlin Petrini che ci affidò i primi seminari della pasta, al primo Salone del Gusto, negli anni con loro abbiamo fatto 130 laboratori, sempre affollatissimi. Poi sono stato anche nominato Commissario per i cereali a Terra Madre. Con loro abbiamo sempre avuto esperienze importanti e fatto cose bellissime.
Qual è il segreto del Made in Italy e della sua pasta in particolare?
Il fatto che il Made in Italy ha 2000 anni di biodiversità, siamo il frutto di esperienze straordinarie, di una storia straordinaria e questo è ciò che vogliono da noi gli stranieri, perché la nostra cultura del cibo, al contrario della Francia, è frutto delle mille contaminazioni che formano la nostra storia, alle quali abbiamo aggiunto la nostra creatività, tipicamente italiana e diversa da tutte le altre.
Ci racconti come è nata la sua collaborazione con suo figlio Andrea e come e se questa collaborazione ha cambiato il volto della sua azienda.
Andrea è nato dopo molti anni di matrimonio, è stato figlio di genitori già un po’ anziani e dunque più preparati. E’ un ragazzo molto misurato, assomiglia molto a mio padre, io dico sempre che è la sua rincarnazione, è qualcosa di mezzo tra me e mio padre, ma questo essere schiacciato tra noi due non gli pesa affatto, anzi! Ormai può guidare l’azienda in maniera autonoma, e questo mi dà una grande sicurezza, il domani non ci troverà sprovvisti o impreparati. “Impariamo a imparare” era lo slogan di mio nonno, poi quello di mio padre è stato “Siamo condannati a crescere” quello di mio figlio invece è: “Divertiamoci a crescere”.
Il suo formato di pasta le ruote pazze, una delle sue paste di maggior successo, è stato citato addirittura da Ozpetek in Mine Vaganti dove fa dire ad un personaggio importante del film, la nonna, :” Abbiamo cercato di fare anche noi le ruote e di farle migliori di quelle di Benedetto Cavalieri, ma non ci siamo riusciti”. Può raccontarci la storia delle ruote pazze, come sono nate e il perché del loro successo?
Le ruote pazze sono l’invenzione del primo capopastaio di mio padre, che veniva da Gragnano, Pasqualino Imparato, io ancora studiavo all’Università allora, per qualche strano scherzo del destino la pasta venne fuori con tre spessori diversi, Pasqualino si mise le mani nei capelli ed esclamò: “Soltanto noi siamo capaci di asciugare una pasta con tre spessori!” Il fatto era che la trafila era in rame e in bronzo che conferiva alla masticazione spessori diversi, i raggi della ruota poi la tengono ben tesa, è il formato di cui siamo più orgogliosi!
Quanto è importante il suo packaging nella commercializzazione della sua pasta?
Il nostro packaging è opera femminile! Volevamo qualcosa di diverso, di particolare, con mia moglie Claudia andavamo in giro per studiare le nuove tendenze, poi ci siamo rivolti a vari designer. Ma alla fine è stata Claudia ad inventare il nostro packaging e abbiamo anche vinto dei premi per questo! Il packaging è molto importante, è il primo approccio, quando facciamo una nuova confezione poi ci rechiamo nei negozi che vendono la nostra pasta verso l’ora di chiusura, esponiamo i nostri prodotti e poi chiediamo ai clienti se hanno notato qualcosa di diverso e loro quasi sempre se ne accorgono! Questo vuol dire che il packaging funziona.
Abbiamo attraversato e ancora lo stiamo attraversando un momento molto difficile, il coronavirus ha avuto risvolti pesanti soprattutto e in particolare nel settore della ristorazione. Come avete vissuto questo momento? Quali sono state le difficoltà e le conseguenze? Per paradosso noi crediamo che una crisi del genere possa essere anche uno stimolo per un nuovo modo di pensare e concepire il cibo, un modo più etico e attento all’ambiente. Voi già siete così posizionati, avete nuove idee? Quali saranno i risvolti di questa situazione nella vostra azienda?
All’inizio abbiamo avuto un crollo verticale , nel mese di Marzo la crisi è stata molto seria poi però c’è stata una ripresa fortissima del lavoro, in America, in Francia, e anche da noi c’è stato un accaparramento, una richiesta altissima di privati consumatori, abbiamo venduto tanto via internet. Il nostro progetto futuro, entro la fine dell’anno, sarà quello di iniziare a comunicare sui social network, su Facebook, ma sempre con molto garbo, proponendoci in maniera misurata, è la prima volta che ci affacciamo sui social, e vogliamo farlo in maniera imprenditorialmente colta, con grande attenzione. Perché come ho già detto ci teniamo alla qualità e vogliamo restare un prodotto di nicchia, per amatori, gente colta che capisce la differenza. Ci sono grandi catene come Walmart e Esselunga che vorrebbero la nostra pasta, ma noi non abbiamo mai ceduto, potremmo produrre, potenzialmente, 150 quintali di pasta al giorno e invece ne produciamo molta meno, proprio per incrementare la qualità.
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